Verso il 20 maggio. Migranti: i numeri dell’emergenza e i problemi che il decreto Minniti-Orlando non risolve
Gazzoli e Elia (Cgil Lombardia): “Auspicavamo una legge che superasse la Bossi-Fini. In tema di accoglienza non ci sono ancora risposte utili”
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima in 1.344 i morti e i dispersi nel Mediterraneo, dal 1° gennaio al 12 maggio 2017.
Nello stesso periodo i migranti sbarcati in Italia sono, secondo i dati del ministero dell’Interno, 45.118 (+ 44,34% rispetto al 2016). Sono prevalentemente africani, uomini, ma ci sono tanti minorenni non accompagnati, 5.602 per la precisione.
Questi sono i numeri dell’emergenza. Un’emergenza che ci parla di persone in fuga dalle guerre e dalla povertà dei paesi d’origine, di gommoni e di viaggi disperati, che in molti casi costano la vita.
In tema di accoglienza, né l’Italia né l’Europa forniscono risposte sufficienti. Lo ha detto anche Susanna Camusso dal palco di piazza San Giovanni Bosco a Roma.
Il decreto Minniti-Orlando “costruisce un diritto dispari tra le persone e i migranti”, ha sostenuto la leader della Cgil, sottolineando che le organizzazioni internazionali devono impegnarsi perché ci siano i corridoi umanitari.
E ancora: “L’Italia deve dire che accoglie, non costruire nuove prigioni”.
Le “nuove prigioni” sono i Cpr, centri di permanenza per i rimpatri, istituiti dal decreto. Sono i vecchi Cie, aumentati nel numero, per ospitare un totale di 1600 persone.
Qui sorgono i primi dubbi. Se dovessimo stimare quante persone si trovano in una condizione di potenziale irregolarità, basta considerare gli ultimi dati del ministero dell’Interno. A fine marzo 2017 le persone presenti nei centri di accoglienza erano circa 175mila. Il 60% delle domande di asilo viene di norma respinto. Significa che, su 175mila persone accolte a fine marzo, il governo dovrebbe allontanarne più di 100mila.
In aggiunta si può considerare il dato del 2014: su 31mila trattenuti, solo il 46% è stato rimpatriato.
Il numero dei potenziali irregolari è molto più alto dei 1600 posti a disposizione nei Cpr. È evidente che sono ben altri gli strumenti da mettere in campo.
“I Cie erano stati ridimensionati perché inefficaci – commenta Daniele Gazzoli, segretario della Cgil Lombardia -. Che senso ha riproporre uno strumento che si è rivelato di scarsa utilità? Bisogna ragionare d’altro, a monte. Per esempio sulla mancata regolamentazione dei flussi d’ingresso”.
Nel contesto che i numeri ci descrivono servono, secondo Gazzoli, “risposte urgenti, non ideologiche”, che non ripropongano soluzioni fallimentari. Clemente Elia, funzionario della Cgil regionale con delega ai migranti, aggiunge: “La situazione attuale necessita di strumenti nuovi, che regolino l’accesso e il soggiorno delle persone presenti in Italia. Il decreto non interviene su questo punto, se non prevedendo espulsioni di massa, irrealizzabili”.
Altro punto contestabile del decreto è l’abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo a cui il Tribunale rigetta il ricorso di primo grado.
“Il diritto d’asilo – commenta Elia – è tutelato dalla Costituzione. Con le novità introdotte, sarà l’unica questione giuridica, rientrante nel diritto costituzionale, a non prevedere il ricorso in Corte d’Appello qualora il tribunale rigettasse la richiesta. Come se fosse un ‘diritto speciale’. Bisognerà rivolgersi direttamente alla Cassazione, ma è un procedimento lungo, irto di ostacoli tecnici e procedurali, che compromette inevitabilmente la tutela del richiedente asilo. Per il Governo ciò che importa è ridurre la durata della procedura”.
“Non deve fare tutto l’Italia. Bisogna che l’Europa faccia ben altro rispetto a quello che ha fatto”, ha detto Susanna Camusso il 6 maggio a Roma.
L’Europa dei sussulti razzisti, che chiude le frontiere, che stringe in un angolo l’Italia e i rifugiati, non prevede un sistema di ricollocazione reale. Anche in questo caso parlano i numeri: a fronte di circa 225mila sbarchi in Italia nell’ultimo anno e mezzo, solo 5.475 richiedenti protezione internazionale sono stati effettivamente ricollocati in altri paesi dell’UE.
A voler allargare la lente, guardando ai confini lombardi, “c’è una passività controproducente – denunciano Gazzoli e Elia -. Un atteggiamento miope che non conduce a soluzioni ragionate, sia da parte dell’amministrazione regionale che di alcuni comuni”.
In tema di accoglienza sembra ancora lunga la strada per garantire soluzioni ad hoc, che parlino di diritti e di doveri, di tolleranza e di integrazione, nello spirito europeo che nelle sue origini ha la solidarietà tra i cardini fondanti.
Per questo la Cgil Lombardia sarà in manifestazione il 20 maggio a Milano, ribadendo la propria contrarietà alle modifiche normative introdotte dal decreto e l’urgenza di politiche locali, nazionali, europee che parlino davvero di accoglienza e che non affrontino l’immigrazione come un sassolino fastidioso nella scarpa.
Si può ragionare di soluzioni migliori con le parti sociali, con i sindacati, con le associazioni che ogni giorno affrontano le difficoltà dei migranti in fuga.
“Restiamo umani”.