Economia e lavoro: Lombardia, gli incentivi non bastano per trainare il lavoro
“Nonostante gli incentivi messi in campo e le condizioni congiunturali favorevoli, i segnali di ripresa sono discontinui e non garantiscono stabilità”. Ad affermarlo è Massimo Balzarini della segreteria della Cgil Lombardia.
La produzione manifatturiera lombarda accelera tra ottobre e dicembre (+0,5%) e chiude il 2015 in crescita del +1,5% sul 2014, sebbene la performance lombarda rimanga inferiore rispetto a Baden-Württemberg (+3,6%) e Cataluña (+2,8%). Le grandi imprese lombarde sono sopra il pre-crisi (+3%), mentre restano sotto le medie (-7%) e le piccole (-17%). I settori più performanti sono gomma-plastica, mezzi di trasporto e meccanica, le manifatturiere di Lecco, Lodi e Monza Brianza chiudono con una produzione 2015 sopra la media regionale.
Le imprese lombarde attive nel 2015 tornano a crescere dopo tre anni di variazione negativa, ma il manifatturiero risulta ancora in calo. In merito al mercato del lavoro, rispetto al 2008, gli occupati (15-64 anni) nel 2015 sono 27mila in meno. I disoccupati lombardi nel 2015 sono 200mila in più del 2008; gli occupati a tempo indeterminato sono l’89,7% del totale degli occupati dipendenti nel 2015, quota sostanzialmente stabile nel corso della crisi. Nel 2015 il tasso di disoccupazione scende in tutte le regioni benchmark e in Lombardia è al 7,9%.
“Anche gli indici economici – prosegue Balzarini – mostrano che la stabilità è ancora lontana. L’economia nazionale e lombarda sono da tempo uscite dalla cosiddetta recessione tecnica, ma i differenziali di crescita rispetto alla media europea suggeriscono molta cautela. Infatti nel frattempo è stata distrutto un quarto della base produttiva e si è alimentata una disoccupazione strutturale che non ha precedenti”.
Gli indicatori di riferimento per la formazione delle politiche di bilancio sono negativamente influenzati dalla crescita e dalla cosiddetta produttività (saldo delle variazioni di export e import). Le previsioni di crescita del Pil si riducono per il 2016 dall’1,4% all’1,2%, e per il 2017 dall’1,5% all’1,4%. La revisione al ribasso delle stime di crescita, seppure di qualche decimale, è diventata una costante nella programmazione economica, così come per molti altri istituti internazionali. Dal lato della competitività internazionale invece – dice ancora Balzarini – si conferma l’incapacità del tessuto produttivo nazionale di conservare e guadagnare posizioni nelle quote del commercio internazionale. Le importazioni crescono più velocemente delle esportazioni, pregiudicando e compromettendo l’idea della crescita fondata sulle esportazioni”.
La stessa dinamica del tasso di occupazione, indicatore molto più interessante del tasso di disoccupazione per fotografare la capacità del Paese di creare nuovo lavoro, non manifesta una reale inversione di tendenza. Si legge nella nota: “Lo spread (vero) tra gli obiettivi occupazionali europei e il tasso di occupazione nazionale ribadisce che il lavoro, meglio ancora la capacità di creare lavoro tanto quanto se ne perde, rimane un problema di struttura. La crescita del tasso di occupazione dal 56,3% del 2015 al 58,4% del 2019 è sostanzialmente in linea con il quadro tendenziale e non colma in nessun modo la forbice che separa il Paese dagli obiettivi comunitari. Al contrario, con il passare degli anni la distanza tra il target occupazionale europeo e programmatico del governo cresce: si passa da 4 punti del 2015 a uno spread di 8,5 punti del 2019”.
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