A 47 anni dalla strage, Milano democratica e antifascista ricorda le vittime di Piazza Fontana
12 dicembre 1969, a Milano comincia la stagione delle stragi
Le segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil esprimono con un comunicato unitario il loro sdegno.
Alla Camera dei deputati la seduta in corso viene interrotta e il presidente Sandro Pertini prende immediatamente posizione contro l’attentato affermando: “Onorevoli colleghi! Un vento di follia criminale si sta abbattendo sul nostro Paese e pare abbia quale obiettivo lo sconvolgimento della vita pacifica della nazione e lo scardinamento degli istituti democratici. I responsabili consumano i loro misfatti cinicamente disprezzando le vite umane. Noi, onorevoli colleghi, al di sopra di ogni divisione politica, con tutto l’animo nostro colmo di sdegno, di angoscia e di preoccupazione, condanniamo questi crimini, augurandoci che i colpevoli siano al più presto individuati e severamente puniti”. Dal canto suo, la direzione del Pci invita “tutte le organizzazioni e i militanti comunisti alla vigilanza e alla iniziativa politica unitaria”.
Dopo la strage di Piazza Fontana, in occasione dei funerali delle vittime, Cgil, Cisl e Uil di Milano decidono di proclamare lo sciopero generale. Una decisione che incide profondamente su quella giornata, con le forze del lavoro schierate a difesa della democrazia e contro l’eversione. Racconterà anni dopo, nel luglio 2009, Carlo Ghezzi – a lungo dirigente dei chimici Cgil lombardi, in seguito alla guida della Camera del lavoro milanese e componente della segretaria nazionale Cgil, oggi alla Fondazione Di Vittorio – a Giovanni Rispoli in una bella intervista per uno speciale di Rassegna Sindacale sull’Autunno caldo: “La nostra presenza ai funerali fu decisiva: la dimostrazione, confermata poi negli anni del terrorismo, che eravamo una grande forza nazionale, che la lotta per i diritti era una sola cosa con la difesa della democrazia”.
Non fu certamente una decisione facile. “La parola d’ordine, come per un riflesso condizionato, era inizialmente ‘vigilanza’ – prosegue Ghezzi –.Nella Camera del lavoro, nel Pci e nella sinistra c’era il timore di ulteriori provocazioni, l’idea che molti sostenevano era quella di limitarsi a presidiare le sedi. Ci fu una discussione aspra, il momento era molto confuso. Poi, quando anche la Uilm fece sapere che era per la partecipazione, la discussione finì. E con le tute blu in piazza Duomo s’impedì che la tragedia potesse essere strumentalizzata dalla ‘maggioranza silenziosa’, che allora stava nascendo”.
“Dov’ero il giorno della strage – continua Ghezzi –? Proprio lì, a Milano: l’azienda mi aveva mandato al Politecnico a prendere il patentino per l’uso dei gas tossici. Ricordo l’incredulità. E un episodio buffo, come spesso accade di fronte alle tragedie, alle tragedie vere. Stavo prendendo il treno per tornare a casa, quando vidi venirmi incontro un operaio che conoscevo, si chiamava Frattini, che gridava esaltato: ‘È stata una bomba, è stata una bomba’. Sembrava quasi contento; ma, com’è ovvio, il sentimento non era questo: semplicemente, per lui era finito un incubo. Si trattava di un operaio della ditta che aveva installato le caldaie nella Banca dell’Agricoltura. La notizia della bomba aveva tardato un po’, e lui era stato tutto il tempo con il terrore che fosse scoppiata una caldaia, che insomma il lavoro suo e dei suoi compagni fosse stato fatto male”.
Ilaria Romeo è responsabile dell’Archivio storico Cgil nazionale