Sciopero generale CGIL – 12 dicembre 2025
La piattaforma: salari, fisco, sanità, pensioni, lavoro, diritti e sviluppo
Perché scioperiamo
La CGIL proclama lo sciopero generale del 12 dicembre 2025 contro una Legge di Bilancio ingiusta, che non sostiene salari e pensioni, non investe nei servizi pubblici essenziali e non risponde alle emergenze sociali del Paese. La piattaforma della mobilitazione si articola in temi fondamentali: fisco, salari, sanità, salute e sicurezza sul lavoro, pensioni, precarietà, povertà, politiche industriali, welfare e diritti.
Prendiamo i soldi dove ci sono
I soldi per migliorare la vita delle lavoratrici e dei lavoratori ci sono. Il problema è come vengono utilizzati.
La CGIL propone di prendere le risorse dove effettivamente si trovano: nei profitti, negli extraprofitti, nelle grandi ricchezze e nell’evasione fiscale. Con un contributo di solidarietà dell’1% sul patrimonio più ricco del Paese è possibile recuperare 26 miliardi di euro all’anno, fondi da destinare a salari, servizi pubblici, welfare, scuola e sanità.
La piattaforma dice anche un chiaro “NO” alla corsa al riarmo: una struttura di spesa che brucia ogni anno centinaia di miliardi sottraendoli a ciò che serve davvero — salari dignitosi, pensioni adeguate, diritti sociali, istruzione pubblica e sanità universale.
1. Fisco e salari
Negli ultimi tre anni lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati hanno pagato 25 miliardi di tasse in più a causa del drenaggio fiscale non compensato.
La perdita varia da 700 euro per un reddito di 20.000 euro a 2.000 euro per uno di 35.000.
La riforma IRPEF prevista dal Governo per il 2026 conferma tre scaglioni:
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23% fino a 28.000 euro
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35% tra 28.000 e 50.000 euro
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43% oltre 50.000 euro
Come evidenzia Collettiva, la riduzione IRPEF avvantaggia soprattutto i redditi medio-alti e non restituisce quanto perso ai redditi medio-bassi, che rappresentano la maggioranza dei contribuenti.
Cosa chiediamo
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restituzione drenaggio fiscale 2022–2024;
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neutralizzazione del fiscal drag;
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IRPEF realmente progressiva;
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detassazione degli aumenti contrattuali;
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tassazione di extraprofitti, profitti e grandi ricchezze.
2. Sanità, salute e sicurezza sul lavoro
La spesa sanitaria nazionale è scesa al 6% del PIL, il livello più basso degli ultimi decenni.
I 2,4 miliardi aggiuntivi previsti per il 2026 non coprono nemmeno l’inflazione.
Mancano 35.000 professionisti (infermieri, OSS, tecnici): il Governo ne prevede solo 6.500.
I servizi territoriali sono in forte ritardo, consultori e salute mentale restano sottofinanziati, e le liste d’attesa continuano ad aumentare.
Sul lavoro, gli infortuni e le morti restano ai massimi livelli: mancano prevenzione, controlli, ispettori, investimenti.
Cosa chiediamo
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portare il SSN al 7,5% del PIL;
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piano straordinario di assunzioni e stabilizzazioni;
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superamento dei tetti di spesa;
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investimenti su medicina territoriale, consultori, salute mentale;
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più ispettori e controlli;
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appalti più sicuri e stop al massimo ribasso.
3. Pensioni
La Legge di Bilancio peggiora ulteriormente la Legge Fornero.
Scadono Quota 103, APE Sociale e Opzione Donna.
Se nulla cambia, dal 2027 si andrà in pensione a:
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67 anni e 3 mesi (vecchiaia)
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43 anni e 1 mese (anticipata)
E dal 2029 ancora oltre:
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67 anni e 5 mesi
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43 anni e 3 mesi
Dal 2025 gli assegni saranno più bassi per il taglio dei coefficienti di trasformazione.
Nel pubblico impiego persistono i tagli retroattivi e l’attesa del TFS/TFR può arrivare a 7 anni, con perdite fino a 20.000 euro.
La mancata rivalutazione 2023–2024 ha tolto 60 miliardi, fino a 9.000 euro per una pensione media.
Cosa chiediamo
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stop all’aumento automatico dell’età pensionabile;
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flessibilità in uscita senza penalizzazioni;
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quattordicesima rafforzata e piena indicizzazione;
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pensione contributiva di garanzia per giovani, precari e discontinui.
4. Precarietà, sfruttamento e condizioni di lavoro
I numeri della precarietà sono in crescita:
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2,6 milioni di dipendenti a termine (ISTAT)
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3,2 milioni di part-time, spesso involontari (ISTAT)
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oltre 6,5 milioni di ore di lavoro occasionale (INPS)
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47% di irregolarità nel lavoro domestico (INPS)
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280.000 tirocini attivati (MLPS)
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economia sommersa da 185,3 miliardi, con oltre 3 milioni di persone (ISTAT)
Alla narrazione sullo “sciopero = weekend lungo” rispondono i dati:
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30,9% dei dipendenti lavora nel weekend;
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55–60% degli autonomi lavora sabato e domenica;
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nel commercio 30,6% lavora almeno una domenica su due.
Cosa chiediamo
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limitare contratti a termine e somministrazione;
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consolidare orari per i part-time involontari;
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abolire i voucher;
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più ispezioni e stop al subappalto a cascata;
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tutele per autonomi, collaboratori e lavoro domestico;
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un ammortizzatore unico nelle transizioni;
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piena attuazione della Legge 68/99.
5. Povertà e disuguaglianze
La povertà è ormai strutturale:
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2,2 milioni di famiglie (5,7 milioni di persone) in povertà assoluta
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1,3 milioni di minori coinvolti
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con l’Assegno di Inclusione, la platea dei beneficiari si è dimezzata
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il lavoro non basta: è povera il 15,6% delle famiglie operaie e il 35,2% di quelle straniere
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oltre 1 milione di famiglie in affitto (22,1%) vive in povertà assoluta
Cosa chiediamo
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uno strumento universale contro la povertà;
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servizi sociali diffusi e non residuali;
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politiche per casa, energia e alimentazione;
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salari adeguati e lavoro stabile;
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redistribuzione della ricchezza tassando profitti e patrimoni.
7. Servizi pubblici, welfare e genitorialità
La manovra non investe in sanità, scuola, casa, trasporto pubblico, non autosufficienza e servizi territoriali.
Cosa chiediamo
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rafforzamento del sistema pubblico;
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riforma della non autosufficienza e politiche per la disabilità;
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sostegno reale alla genitorialità;
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assunzioni e stabilizzazioni nella PA.
8. No al riarmo: investire nelle priorità sociali
La corsa al riarmo sottrae risorse decisive a welfare, sanità, scuola e lavoro.
La CGIL propone un contributo dell’1% sui grandi patrimoni e una tassazione equa di profitti ed extraprofitti: 26 miliardi l’anno per finanziare le vere priorità del Paese.
Lo sciopero siamo noi. Ci vediamo in piazza
Il 12 dicembre non è un “ponte” né un giorno facoltativo: per milioni di lavoratrici e lavoratori italiani il venerdì è parte integrante della settimana lavorativa, non un anticipo del weekend. In Italia quasi uno su tre dipendenti (30,9 %) lavora abitualmente il sabato o la domenica, e tra gli autonomi la quota sale tra il 55 % e il 60 %.
Quando si dice “sciopero il venerdì” non si fa un favore a chi riposa: si fa sentire la voce di chi lavora anche nei festivi e nel weekend. Scioperare vuol dire rinunciare a una giornata di paga, organizzare la mobilitazione, sostenere le rivendicazioni collettive. Non è turismo, non è “ponte”: è lotta.
La CGIL Lombardia chiama tutte e tutti a partecipare con consapevolezza: per riprendersi diritti, salari, dignità e condizioni di vita degne.