Dal campo Antimafia di Torchiarolo

L’incontro tra generazioni nella esperienza di volontariato sui beni confiscati alle mafie

A Torchiarolo in provincia di Brindisi su un bene confiscato al cassiere della “Sacra Corona Unita”, la mafia pugliese, si svolge da qualche anno uno dei tanti campi organizzati in estate dall’Arci, dalla CGIL, da Libera e dallo SPI CGIL, nell’ambito di un progetto nazionale che punta a far incontrare giovani e meno giovani per condividere un’esperienza di cittadinanza attiva e di formazione e l’obiettivo comune dell’impegno sociale contro le mafie.

torchiaroloQuello di Torchiarolo è un bene confiscato assegnato nel 2009 alla cooperativa “Libera terra di Puglia”; è costituito da una grande villa circondata da uliveti, vigneti e campi di grano. Oggi, grazie all’impegno dei soci della cooperativa, nonostante le frequenti minacce e attentati subiti dopo la confisca, si producono vini tipici salentini, come il Negramaro e il Primitivo, e i famosi tarallini pugliesi. La cooperativa garantisce ai lavoratori il pieno rispetto dei salari, dei diritti e delle tutele previste dal contratto nazionale di lavoro e dalla legislazione vigente.

All’arrivo in villa si è accolti da uno striscione con la scritta Campo Antimafia “I campi di Hiso” in ricordo di Hiso Telaray, un giovane bracciante albanese, ucciso dalla Sacra Corona Unita all’età di 22 anni, per non essersi piegato ai ricatti e alle minacce dei caporali.

hiso

La fatica del lavoro nei campi

La vita nel campo inizia al mattino presto. La sveglia è tra le 4.30 e le 5.00 e si arriva nei campi non più tardi delle 6. Sono qualche migliaio i giovani che, spinti da una forte tensione etica, partecipano ogni anno ai campi di volontariato; uno spaccato delle nuove generazioni ben lontano dallo stereotipo dei “bamboccioni”, di cui parla ogni tanto qualche politico, rivelando un analfabetismo sociale imperdonabile.

Al campo di Torchiarolo, nei mesi estivi partecipano ogni settimana 20/25 giovani provenienti in gran parte da regioni del Nord e del Centro Italia. Vivono, per alcuni giorni, l’esperienza della fatica di lavorare chinati sulla terra, sotto il sole che comincia presto a farsi “sentire”. È bello pensare che anche il sudore dei giovani volontari contribuirà a rafforzare vigneti che produrranno vino liberato dalla mafia e dallo sfruttamento.

campi antimafia
Il lavoro nei campi è un’esperienza che induce i giovani campisti a riflettere anche sul fatto che sono tanti i lavoratori che, per guadagnarsi da vivere, ogni giorno trascorrono ore a lavorare in condizioni dure; che questo lavoro è determinante per la vita di tutti, e spesso avviene in condizioni di sfruttamento, con scarso salario, senza di diritti e senza sicurezza. Questa esperienza contribuisce a costruire un pizzico di consapevolezza in più sul valore del lavoro, sulla pari dignità dei lavoratori e su quanto sia importante far emergere dall’invisibilità il lavoro caratterizzato da fatica, precarietà, sfruttamento.

Nutrire la conoscenza per contrastare le mafie

I pomeriggi sono dedicati ai laboratori formativi che accompagnano i giovani in un percorso di conoscenza del fenomeno mafioso, dalle sue origini alla sua attualità. Si alternano magistrati, rappresentati di Libera, dell’Arci, della CGIL, dello SPI, Associazioni portatrici di esperienze di cittadinanza attiva e di riscatto.

ragazzi campoSpesso le conversazioni partono dalla storia della villa, dal consolidarsi del dominio sul territorio della Sacra corona unita e dal consolidarsi del potere del vecchio proprietario con la forza della prepotenza e della violenza o con il consenso conquistato costruendo relazioni fondate sulla sudditanza in cambio di favori più o meno grandi.

Dagli incontri con le Associazioni è emerso in modo evidente che le attività criminali fondano le loro radici nella mancanza di alternativa nell’offerta lavorativa di attività oneste che diano prospettive economiche per tutti e in particolare per i giovani e le giovani che sono nati in quelle terre e costruire le basi per un presente ed un futuro diverso, fatto di lavoro legale, rispetto per la terra e giustizia sociale.

Emerge quindi con tutta la sua forza che sequestrare e confiscare i beni, costruiti dalle mafie, attraverso l’arricchimento illecito e violento, significa liberare i beni e i patrimoni da essi rappresentati, per restituirli all’economia legale, alla comunità di riferimento, ad uno sviluppo sano e rispettoso del territorio e dei diritti di chi lavora.

ragazzi campo2La delegazione della CGIL Lombardia ha dato un sostegno diretto al campo, preparando i pasti per tutti i campisti e partecipando a turno al lavoro nei campi. Ogni giorno alcuni dei giovani campisti ci affiancavano in cucina e nella raccolta dei prodotti che l’orto della villa giornalmente ci forniva. Molto gratificanti sono stati gli apprezzamenti per le competenze gastronomiche dei sindacalisti della CGIL.

Ancora più soddisfazione l’aver visto crescere, con il passare dei giorni, una relazione tra generazioni che, nel confronto tra racconti di vita, esperienze personali, trasmissione di memoria di lotte per i diritti, ha fatto vivere l’idea di una comunità che si riconosce nell’impegno per una società più giusta e libera dalle mafie.

Il laboratorio formativo organizzato dai volontari della CGIL Lombardia

Questa relazione ha poi avuto una sua evoluzione nei due laboratori formativi pomeridiani che i volontari della CGIL Lombardia ha gestito direttamente per avvicinare i giovani campisti alla conoscenza del sindacato.

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Abbiamo raccontato del filo rosso che lega la confisca delle terre ai mafiosi di oggi con le lotte per l’occupazione delle terre di ieri che, a partire dal sud, miravano a dare pane, lavoro e dignità ai lavoratori, sottraendole a latifondisti e mafiosi.

Dal pugliese Giuseppe Di Vittorio, bracciante e sindacalista, che si era battuto per i diritti dei lavoratori fino a diventare il primo segretario della CGIL dopo la liberazione dal fascismo, ai tanti sindacalisti che hanno perso la vita per lottare contro le mafie. Tra questi Placido Rizzotto, che da partigiano aveva partecipato alla Resistenza nelle regioni del nord e, tornato in Sicilia, da segretario della camera del lavoro di Corleone per continuare la lotta di liberazione, questa volta contro i poteri mafiosi e per la restituzione delle terre ai contadini.

Abbiamo ricordato Pio La Torre, (sindacalista della CGIL e poi parlamentare dell’allora Partito Comunista Italiano) che, a partire dalle esperienze e dalle lotte contro il potere mafioso-politico-imprenditoriale siciliano, seppe indicare quelle soluzioni legislative (come l’introduzione del reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni dei mafiosi) che si sono poi rivelate determinanti per affrontare con efficacia la lotta alle mafie sul terreno economico e sociale.

ragazzi campo3Cosa abbiamo portato a casa…

Sono stati 11 giorni intensi, alla fine dei quali abbiamo avuto la sensazione di portare tutti a casa qualcosa. Una straordinaria esperienza umana. Una più forte motivazione a continuare ad avere uno sguardo aperto e attento sul mondo per guardare con più speranza al futuro. L’importanza di investire sulla cooperazione, sulla solidarietà, sui valori collettivi e … sui campi della legalità.

Con buona pace di quanti, nella società e nelle istituzioni, continuano a non vedere, abbiamo avuto la prova tangibile che le mafie esistono ed incidono drammaticamente sulla vita materiale di tutti. La mafia non è solo in Puglia, in Sicilia o in Calabria, anche nelle regioni del Nord occorre fare un lavoro intenso contro le organizzazioni mafiose perché come ha dichiarato Don Ciotti, e riportato in un bellissimo cartello appeso ai muri della masseria di Torchiarolo, “La mafia ha le radici al sud ma rami e frutti al nord”.

Se in Puglia sono ancora evidenti gli effetti sulle comunità locali del lungo ed incontrastato controllo militare sul territorio perpetrato per anni dalle organizzazioni mafiose, in Lombardia con l’aiuto della “cultura” negazionista e omertosa, che ancora persiste, come più volte denunciato dai magistrati della procura di Milano, si concentrano in modo quasi incontrastato le attività mafiose di riciclaggio del denaro.

Abbiamo parlato della proposta di legge di iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro” per “L’emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata”, promossa dalla CGIL insieme a Arci, Libera, Avviso pubblico.

Abbiamo poi organizzato dei lavori di gruppo sui temi più salienti che in questo momento storico riguardano il lavoro e le nuove generazioni: dal lavoro nero, al caporalato, al lavoro grigio, alle precarietà.

Come detto da uno dei magistrati, in uno dei numerosi appuntamenti pomeridiani di approfondimento, la mafia è un fenomeno umano e per questo motivo bisogna imparare a riconoscerla ed a combatterla sempre, senza mai abbassare la guardia.

Vincenzo Moriello CGIL Lombardia

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Intervista a Davide Pati, responsabile beni confiscati di Libera

davide patiDavide Pati è il responsabile del settore beni confiscati dell’associazione Libera. In questa intervista affronta il tema dei beni confiscati evidenziando alcune criticità collegate alla gestione delle aziende.

In Italia il numero dei sequestri e delle confische ha raggiunto ormai una dimensione patrimoniale, economica e finanziaria considerevole. Quali sono le prospettive?

Sono poco più di 16.000 i beni immobili definitivamente confiscati dal 1982, anno dell’approvazione della legge Rognoni-La Torre, e circa la metà sono stati destinati e consegnati dall’Agenzia nazionale per le finalità istituzionali e sociali previste dall’articolo 48 del decreto legislativo n.159 del 2011. Sono tanti ancora quelli che rimangono ancora da destinare perchè spesso presentano varie forme di criticità.

I beni mobili, immobili e aziendali sottratti alle mafie costituiscono risorse da valorizzare negli strumenti di programmazione e attuazione delle politiche di welfare e di inclusione sociale, di promozione cooperativa e di imprenditorialità giovanile, di tutela del lavoro e di sviluppo turistico, agroalimentare, artigianale, commerciale e industriale.

Per queste ragioni, gli interventi pubblici comunitari, nazionali e regionali di sostegno dovranno essere orientati al rafforzamento delle buone pratiche di riutilizzo dei beni confiscati che sono state realizzate grazie alla legge n. 646 del 1982 (Legge Rognoni-La Torre) e all’applicazione della legge n.109/96, promossa dall’associazione Libera e fortemente voluta da più di un milione di cittadini.

In Europa, qual è l’approccio al tema dei beni e delle aziende confiscate?

La Direttiva della Commissione europea sulla confisca dei beni, approvata nel febbraio 2014, invita gli Stati membri a valutare se adottare misure che permettano di riutilizzare i beni confiscati per scopi di interesse pubblico e sociale. Nella sua proposta del marzo 2012, inoltre, la Commissione aveva già scritto che “la confisca dei beni viene inclusa tra le iniziative strategiche nell’ambito di una iniziativa politica più ampia destinata a tutelare l’economia lecita da infiltrazioni criminali, contribuendo alla crescita e all’occupazione in Europa”.

Il Consiglio dei Ministri ha affrontato recentemente il tema dei beni confiscati. Può dirci in che termini?

Recentemente, su proposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Consiglio dei Ministri ha approvato il Programma Nazionale di Riforma del Documento di Economia e Finanza 2014. In questo documento, tra le azioni di sicurezza pubblica, si cita la “necessità di impedire i condizionamenti della criminalità organizzata sui circuiti dell’economia legale e di sostenere il rilancio economico e sociale intensificando la lotta alla corruzione, all’illegalità e al crimine organizzato. Le risorse potranno essere reperite attraverso l’impiego dei fondi europei e mediante nuovi processi di gestione e destinazione degli asset sottratti alla criminalità organizzata”.

Tuttavia, è da segnalare l’isolamento dei Comuni e l’esigenza di andare oltre il “micro-localismo”. Sarebbe necessario ipotizzare soluzioni idonee da offrire alle amministrazioni comunali, attraverso un supporto costante e qualificato in fase progettuale, implementando metodologie e strumenti di coinvolgimento dei soggetti locali e di generazione di idee imprenditoriali.

Quali sono le criticità collegate alla gestione delle aziende confiscate?

La maggior parte delle aziende confiscate giungono nella disponibilità dello Stato prive di reali capacità operative e sono spesso destinate al fallimento e alla chiusura.
Le cause possono essere diverse. Prima di tutto, l’innalzamento dei costi di gestione, dovuto all’aumento dei costi relativi alla regolare fatturazione delle commesse e alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro a seguito del ricollocamento in un circuito legale dell’azienda sequestrata/confiscata. In secondo luogo, la gestione conservativa dell’azienda sequestrata/confiscata, a causa dell’assenza di strumenti e competenze specifiche, che permetterebbero una gestione volta allo sviluppo delle capacità produttive. Inoltre, la revoca dei fidi bancari non consente all’azienda, già nella fase del sequestro, di proseguire la propria attività. Infine, i rapporti con i clienti e fornitori: questi ultimi tendono a revocare le commesse e a richiedere di rientrare immediatamente dei loro crediti, spingendo così l’azienda alla crisi o chiusura.

Come deve essere cambiato l’approccio a questa tematica?

La tematica del riutilizzo dei beni confiscati non può essere più relegata ad un ruolo di semplice testimonianza. Le politiche di coesione territoriale per la valorizzazione dei beni e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata richiedono la definizione di una strategia nazionale di intervento. La proposta è quella di definire un Piano di azione nazionale “Beni confiscati e coesione territoriale”, quale strumento operativo di una policy nazionale che si potrebbe articolare su tre assi di azione:

  • Capacità di gestione e cooperazione istituzionale, per potenziare e qualificare la capacità di gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata da parte dei soggetti preposti, ovvero Agenzia nazionale, Tribunali, Ministeri, Prefetture, Regioni, Enti locali, Organizzazioni del partenariato economico e sociale, attraverso l’adozione di più efficaci e coerenti strumenti di governance e lo sviluppo delle relative competenze;
  • Welfare ed economia sociale, per utilizzare i beni immobili confiscati per migliorare i servizi pubblici e per creare nuova occupazione, partendo dalle buone pratiche fino ad oggi realizzate;
  • Lavoro vero e sviluppo economico, per accompagnare e sostenere con rapidità la transizione alla legalità delle aziende sequestrate e confiscate, salvaguardando in tal modo l’occupazione dei lavoratori, attraverso l’utilizzazione di un sistema integrato di servizi ed incentivi.

L’attuazione del Piano di Azione nazionale si dovrebbe basare su un’azione propositiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri – attraverso il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica e l’Agenzia per la coesione territoriale – e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in piena cooperazione con le Amministrazioni statali e regionali.

La campagna Impresa bene Comune si muove proprio in questa direzione?

La campagna “Impresa bene comune” è promossa da Libera, in collaborazione con altri partner, e si propone di coinvolgere il sistema imprenditoriale italiano in un importante progetto di responsabilità sociale. Un’iniziativa concreta per dimostrare che la legalità conviene, trasformando ogni azienda sottratta alle mafie in un esempio di buona economia e di lavoro dignitoso. Perché questo possa accadere, l’azienda sequestrata e/o confiscata entrerà in partnership con le imprese sane dello stesso settore o di settori affini o complementari, creando vere e proprie reti di imprese, formali o informali.

Inoltre, questa campagna si svilupperà anche a sostegno della definizione, in tempi brevi, di modifiche legislative finalizzate ad individuare i giusti correttivi che consentano di superare molte delle criticità presenti, prime tra tutte quelle riguardanti la riduzione dei tempi previsti dal sequestro alla confisca e l’istituzione di strumenti economici a sostegno delle aziende sequestrate/confiscate, da interventi di finanza agevolata a sistemi di incentivazione fiscale.