I beni confiscati

Secondo i dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al 7 gennaio 2013 sono 12946 i beni confiscati alle mafie. Di questi 11238 sono immobili, mentre 1708 sono aziende. Ad aggiudicarsi il primato è la Sicilia che conta 5515 beni confiscati (il 42.60% del totale), seguita da Campania con 1918 beni, Calabria con 1811, Lombardia (prima regione al Nord) con 1186 beni, Puglia con 1126.

Riportiamo di seguito i dati relativi alla distribuzione geografica dei beni confiscati sul territorio italiano. Risulta evidente come la concentrazione sia più elevata in Sicilia, Campania, Calabria, Lombardia e Puglia.*

beni dati

In particolare, i beni immobili sono in maggioranza destinati e consegnati (5859), seguiti dai beni dati in gestione (3995), da quelli non consegnati (907), e da quelli usciti dalla gestione (477). Così come sono 1211 le aziende attualmente in gestione e 497 quelle uscite dalla gestione.

Sono le due facce della confisca, quella degli immobili e delle aziende sottratte alla criminalità: di queste strutture giunte alla fase della confisca definitiva, più del 70% ha delle criticità che ne impediscono il riutilizzo immediato.

La più rilevante è sicuramente quella del peso ipotecario sui beni immobili. Ciò comporta una complessa e lunga attività istruttoria finalizzata a rendere il bene libero da pesi ed oneri, un iter che richiede molto tempo a discapito dell’immediato riutilizzo.

Occorre spezzare il legame esistente tra il bene ed i gruppi mafiosi, per intaccare il potere economico delle mafie e marcare il confine tra l’economia legale e quella illegale: lo diceva Pio La Torre, fautore della omonima legge (cd.‘Rognoni- La Torre’). Il deputato del PCI non fece nemmeno in tempo a vedere approvata la sua ‘creatura’ in quanto venne assassinato prima dalla mafia. Colpire i beni accumulati in modo illecito è il punto di partenza per incrinare il potere dei mafiosi.

Purtroppo dal sequestro all’assegnazione la strada non è facile.

La legge 109/1996, che prevede il riutilizzo a fini sociali, richiede oggi una boccata d’ossigeno, un impegno preciso da parte dei futuri governi, a cominciare dallo stanziamento di risorse adeguate. Le tante cooperative nate in questi anni per gestire i beni confiscati dimostrano invece che la costruzione di pratiche inclusive e la creazione di lavoro, non solo è possibile, ma è l’unica strada da perseguire se davvero si vogliono sconfiggere le mafie.

La lotta alle mafie, il contrasto alla corruzione e all’evasione fiscale richiedono anche un vero e proprio moto di riscatto etico e civile.

Va sostenuta l’educazione alla legalità democratica come processo di educazione popolare alla consapevolezza dei diritti e dei doveri, alla cittadinanza attiva e responsabile. Vanno potenziati tutti gli strumenti fin qui sperimentati nella lotta alle mafie, ed estesi alla lotta contro la corruzione. I capitali mafiosi e quelli derivanti dalla corruzione costituiscono un’economia alternativa e trasversale a quella statale che deve essere ‘riacquistata’ dalla collettività, più consapevole oggi rispetto al passato che la repressione e la lotta repressiva alla criminalità organizzata sarebbero vanificate dall’assenza della partecipazione di tutte e di tutti.

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